La pratica dell’imbalsamazione è attestata dalle origini della civiltà egizia fino all’Epoca Romana (30 a.C. -395 d.C.). Per gli Egizi ciò che dell’individuo esisteva in vita doveva conservarsi dopo la morte, pur subendo una inevitabile trasfigurazione. Questo era vero soprattutto per il corpo (khet) che la mummificazione rendeva immagine eterna dell’individuo (sah). L’indiscussa abilità tecnica degli Egizi nel trattamento dei corpi era comunque favorita dal clima caldo e asciutto del paese, in alcuni casi determinante per un buon risultato.
Uno sbendaggio virtuale tramite TAC ha permesso di indagare le tecniche di imbalsamazione utilizzate per creare questa mummia e di scoprire che appartiene ad un uomo, alto circa 162 centimetri e di età compresa tra i 50 e i 55 anni al momento della morte. Il corpo è in posizione supina, con le braccia stese e le mani sul pube. Residui di cervello sono ancora visibili all’interno della scatola cranica, mentre gli organi interni risultano estratti attraverso un’incisione sul lato sinistro dell’addome, poi imbottito parzialmente con bende. Le tecniche di imbalsamazione e di bendaggio confermano lo stato sociale elevato del defunto, vissuto nell’VIII sec. a.C., come risulta dalla datazione al radiocarbonio dei raffinati tessuti di lino che lo avvolgono.
Terzo Periodo Intermedio, XXIII – inizi XXV dinastia (756-655 a.C.)
resti umani, tessuti di lino