Questa fronte di sarcofago proviene da Sabbioneta, dove faceva parte dell’importante collezione antiquaria raccolta dal duca Vespasiano Gonzaga e fu trasferita a Mantova nel 1774, per andare ad arricchire il museo della nuova Accademia di Belle Arti. Il marmo può essere datato alla fine del II secolo d.C., grazie a diversi confronti con opere di quel periodo.
Il rilievo mostra l’epilogo del mito. A destra si vede il ferimento di Adone, mentre il cinghiale viene assalito dai compagni del cacciatore. Adone è semisdraiato e da sinistra sopraggiunge Venere disperata, con il braccio sollevato. Dietro la dea è un pilastro, decorato da quattro figure di geni delle stagioni, che divide le due scene. A sinistra Adone è seduto con la gamba ferita sollevata, mentre un amorino cerca di bendarlo. Il giovane cacciatore guarda Venere che lo sta accarezzando e sullo sfondo si vedono i compagni del cacciatore.
Il mito di Adone è frequente sui sarcofagi romani, come simbolo dell’eterno ritorno della natura. Adone trascorreva i mesi invernali presso Proserpina signora degli Inferi; ma poi “risorgeva”, tornando sulla terra nel periodo primaverile ed estivo che trascorreva con Venere. Questa alternanza simboleggiava anche i cicli stagionali.
Prima di giungere a Sabbioneta, la lastra si trovava a Roma, nella zona del Quirinale, presso la bottega di Andrea Bregno, come viene testimoniato dalla nota leggibile nel disegno di Amico Aspertini del codice di Wolfegg («andare in monte chavallo in chasa de maestro andrea scarpelino»). Il rilievo viene copiato più volte tra XV e XVI e particolari del sarcofago sono stati ripresi da Tiziano, nella Maddalena della Pietà delle Gallerie dell’Accademia, e da Giovanni Maria Falconetto, nella sala dello Zodiaco di palazzo d’Arco a Mantova.
II secolo d.C.
marmo pario